Manzano (UD) - Coniugare il mondo della pedata e quello dell’imprenditoria è un compito assai arduo, ma per taluni diventa una conditio di vita. E’ il caso di Giancarlo Bassi, Presidente della Gross Imball, azienda operante nel Distretto della Sedia, ed eminenza grigia della compagine calcistica U.S. Manzanese.
In quest’ultimo ambito ci sono dei trascorsi storici di tutto rispetto: inizia l’arte della pedata nel glorioso vivaio del Ricreatorio festivo udinese, annesso alla Parrocchia del Redentore nel popolare quartiere di Borgo San Lazzaro. Successivamente, in considerazione delle sue qualità tecniche e fisiche, passa nelle giovanili delle zebrette. Nel campionato di calcio 1953-1954, che vede l’Udinese conseguire il secondo posto in classifica nella serie A, Giancarlo Bassi esordisce in prima squadra come attaccante di riserva. Negli anni seguenti milita in diverse squadre di A, B, C. Dopo l’attività agonistica, considerando la crescente importanza di Manzano nel sistema produttivo, abbandona momentaneamente il calcio, per dedicarsi all’attività imprenditoriale nel settore degli imballaggi. Ma la sfera di cuoio non si cancella facilmente dal cuore. Riprende dal punto in cui aveva lasciato e si rituffa nello scenario del Friuli Venezia Giulia, come selezionatore della Rappresentativa, vincendo parecchi trofei regionali e nazionali. Attualmente è consigliere e deus ex machina della U.S. Manzanese, che da quest’anno milita nel campionato di serie D. A lui abbiamo rivolto alcune domande sul mondo del calcio dilettantistico e sulle problematiche ad esso inerenti.
Perché non ha continuato la Sua carriera calcistica iniziata fin dalla giovane età?
“Pareva che tutto promettesse bene, visti gli inizi precoci, ma, ad un certo punto, sono stato quasi obbligato a scegliere l’attività imprenditoriale: la situazione economica dell’epoca costituiva uno stimolo ad intraprendere iniziative industriali. Il tempo ha dato ragione alla mia opzione, giacché - come si può constatare - l’azienda a tutt’oggi è in costante sviluppo con numerosi operai e vi hanno fatto ingresso in veste direttiva i miei stessi figli”.
Ma poi ci ha ripensato?
“Vista l’insistenza del compianto presidente della F.I.G.C. Diego Meroi, ho accettato di ritornare agli “antichi amori”. Sotto la sua presidenza ho raccolto indubbie soddisfazioni, vincendo ben quattro campionati italiani, dalla terza Categoria, financo all’Eccellenza. In seguito ho allenato la Manzanese, e per ultimo il Palmanova”.
Come andò con il Palmanova?
“L’esito fu senz’altro positivo: dall’Eccellenza la squadra fu promossa in serie D. Poi, come DT, sono rimasto nella città stellata per qualche anno; in seguito fui chiamato di nuovo alla Manzanese, giacché dalla costituzione del nuovo organigramma c’era la necessità di nuova linfa e vitalità per una squadra che si prefiggeva traguardi ambiziosi. Infatti l’anno scorso il primo obiettivo è stato centrato: la promozione in serie D. Di ottima levatura è anche il vivaio delle squadre giovanili che costituiscono un serbatoio prezioso per la prima squadra”.
Dal settore giovanile quali novità, dopo l’introduzione di nuove norme apportate dalla Federcalcio?
“Purtroppo non buone: l’introduzione di nuove normative federali stanno progressivamente depauperando il valore economico delle società dilettantistiche”.
Perché?
“E’ presto detto. I calciatori che hanno compiuto 25 anni possono decidere del proprio futuro, senza il vincolo della società di appartenenza, trattando liberamente l’ingaggio con un altro club. Ma non finisce qui. Le società professionistiche possono, inoltre, prelevare da un sodalizio dilettantistico un giovane promettente con un’esigua contropartita. Un “premio di preparazione” che non compensa gli sforzi sostenuti nel corso degli anni per far crescere atleticamente e tecnicamente la promessa. C’è poi, sempre rimanendo in tema di prima squadra, l’obbligo di far giocare quattro giovani che abbiano un’età compresa tra i 17 e 20 anni. In sostanza ci si trova ad investire energie e capitali senza, in futuro, ricevere un’adeguata e giusta ricompensa”.
Da dove attinge i capitali una squadra dilettantistica?
“Da sponsor locali, che beneficiano di un ritorno d’immagine e da imprenditori affezionati alla squadra della comunità. Un aiuto marginale, ma fondamentale per coprire parte delle spese di un campionato, che mediamente ha un costo di 200 mila euro per le fasce di Prima categoria e Promozione, da 300 mila a 700 mila euro per l’Eccellenza e Serie “D”. Va inoltre detto che i proventi dei biglietti d’ingresso bastano a malapena per le spese di vettovagliamento del post-partita. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto della concomitanza con le partite casalinghe dell’Udinese, il ritorno è ancor più scarso….”.
Ma non ci sono gli anticipi del sabato?
“Potrebbero essere una scappatoia, ma spesso sorgono problemi d’impegni lavorativi e scolastici per i giocatori, senza dimenticare ulteriori impegni per la compagine avversaria”.
Quale futuro per il calcio dilettantistico?
“Sicuramente non roseo, perché, in primis, ci sono troppi stranieri che militano nelle squadre di A, B e C: addirittura undici per ogni club (per la serie A). Stando così le cose, gli spazi per approdare alla serie A risultano davvero limitati. Infatti, secondo le ultime stime, dalle società dilettantistiche, su un numero complessivo di 25.000 giocatori sparsi per la penisola italiana, soltanto due approdano nella massima serie. Davvero un’inezia, se consideriamo il potenziale disponibile. La realtà è che nel resto d’Europa il calcio dilettantistico viene praticato a livello ricreativo, senza ferree strutture e investimenti consistenti. Certo è che da noi il settore è ritenuto importante ed è seguito con metodiche e cure di livello”.
E per la Manzanese, quali prospettive?
“Questo è un anno di assestamento. Va sottolineato innanzitutto il fatto che già disputare un campionato in serie D deve essere ritenuto motivo di giusto orgoglio. La salvezza è già un obiettivo; se poi ci sarà qualche esito migliore, allora ci si potrà proiettare con maggior slancio verso mete più ambiziose”.
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